L’oro verde sulle rive del Sebino
La coltivazione dell’olivo sulle sponde dei nostri laghi non è attuale moda ma storia millenaria, giusto ricordarlo e condividerlo. Lo è anche per il Sebino sin da epoca romana, successivamente tutelato dalle «corti lacustri di alcuni monasteri franciacortini» come precisa Irene Foresti nel suo Cibi, Gusti e Sapori tra monti e lago, come è avvenuto anche per la vite difesa dalle istituzioni monastiche nei momenti più duri delle invasioni barbariche.
Del resto la presenza dell’olivicoltura a queste latitudini, il 46° parallelo nord rappresenta la latitudine massima di coltivazione per questa specie e il lago d’Iseo e posto a circa 45.71 gradi, è chiaro segno sì dell’intervento umano ma anche del microclima creato dalla presenza della massa d’acqua che mitiga i rigori invernali. E come per il lago di Garda sarebbe difficile pensare le sue rive spoglie di questa tipica coltura, che in altri tempi è stata qui ostacolata nel suo diffondersi dalla presenza delle piante di gelso piantate per fornire l’alimento ai bachi da seta. Delle due sponde è quella bresciana ad offrire oggi la maggiore produzione olivicola del Sebino, con un progressivo diffondersi della gestione biologica degli oliveti.
Inclusa nella Denominazione di Origine Protetta Laghi Lombardi, che comprende anche la produzione del lago di Como con la menzione geografica Lario, è da Disciplinare ottenuta dalle seguenti varietà, o cultivar, di olivo: «Leccino in misura non inferiore al 40%; Frantoio, Casaliva, Pendolino e Sbresa», quest’ultima autoctona del lago d’Iseo. Lo stesso documento riporta le seguenti caratteristiche organolettiche:
– colore: verde-giallo,
– odore: di fruttato medio-leggero;
– sapore: fruttato con leggera sensazione di amaro e piccante
È bene precisare che le caratteristiche dei terreni che ospitano la grande maggioranza degli oliveti sulla sponda bresciana del Sebino – pendici delle colline moreniche che circondano il lago – portano ad una frammentazione della produzione in tante piccole proprietà dove la meccanizzazione è di fatto impossibile: il risultato è un costo di gestione e di raccolta tra i più alti della penisola italiana. Di contro abbiamo la produzione di oli eleganti dal fruttato medio-leggero come sopra indicato, espressione di un patrimonio agroalimentare davvero unico per ubicazione e passato.
(a cura di Carlos Mac Adden, foto : Nadia Turelli)
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