Una terra fatta di marmo e di vino
Vana, nella rete, la possibilità di giungere con sicurezza all’origine del nome Botticino, chi lo fa risalire a nomi propri romani, chi ad altri nomi di più tardo periodo, chi alla botte che campeggia nello stemma comunale. Vero è che i romani, dopo aver sconfitto, e successivamente integrato, il locale popolo dei Cenomani, vi portarono due tratti che tuttora con diverse e alterne fortune, identificano questa località a nord-est di Brescia: la coltivazione della vite e la lavorazione del marmo che forma in gran parte le colline circostanti.
Con un salto di oltre due millenni da quegli accadimenti il professor Michele Vescia, unanimemente considerato il «padre» delle denominazioni d’origine controllate bresciane, afferma che «Il Botticino è una chicca che si colloca come linea di demarcazione tra le produzioni piemontesi e venete. È un vino gagliardo, che fa piacere, che invita…». I bresciani paiono essersi un poco dimenticati di tanta storia e di un terreno in grado di dare, ricordiamo le precedenti parole, grandi vini rossi, strutturati, fini ed eleganti. Percorrendo le colline attorno a Botticino non è difficile imbattersi in terreni, ora diversamente occupati o tornati preda del bosco, che portano le tracce di una precedente viticoltura.
Ma c’è chi, per fortuna nostra, ben conscio di un insieme atto a regalare ad alcuni vigneti esposizione a sud, ripidità, argilla, calcare, continua brezza, è in grado di produrre con caparbietà e convinzione esattamente quei vini di cui Vescia delineava i tratti. A comporli, come da disciplinare, la DOC Botticino nasce nel 1968, uve Barbera (min. 30%), Marzemino (min. 20%), Sangiovese (min. 10%), Schiava (min. 10%), in grado di conferire, ciascuna con la propria diversità, struttura, colore, eleganza, freschezza ai vini Botticino DOC e Botticino DOC riserva.
Terra da rossi, da grandi rossi insomma, anche se è da segnalare, curiosità, bizzarria? Una piccolissima produzione di bianco da un vitigno lì arrivato nel secolo scorso e recuperato da un giovane produttore che ne ricava un vino dalle buone potenzialità. Come accade per altre DOC bresciane, spetta forse in prima battuta alla locale ristorazione il proporle, magari corredandole da qualche agile spiegazione, perché, bene si sposano con tanti piatti della cucina tradizionale e non, bene rappresentano l’identità di un territorio. Sono indiscussa attrattiva, la direzione è sempre più questa, per un turismo fatto di presenze curiose e motivate.
(a cura di Carlos Mac Adden)
Leave a comment
Devi essere connesso per inviare un commento.